mercoledì 2 novembre 2016

La notte in cui uccisero un poeta. In memoria di Pier Paolo Pasolini



Che fossero state più persone ad uccidere Pier Paolo Pasolini, in quella notte tra il primo ed il due novembre del 1975, all'Idroscalo di Ostia, lo si seppe sin da subito.
Fu uno degli abitanti di quelle misere baracche a confidare a Furio Colombo - all'epoca collaboratore per La Stampa - come quella sera vi fossero più persone a colpire a morte Pasolini.
Fu Oriana Fallaci a scriverlo nella sua contro-inchiesta pubblicata sulle pagine dell'Europeo dopo aver raccolto prima alcune testimonianze riportanti la presenza di due motociclisti - che avrebbero partecipato all'aggressione colpendo il poeta anche con una catena - e poi il racconto rilasciato da un ragazzo di vita ad un collaboratore della rivista sui drammatici eventi di quella notte.
Fu la perizia del medico legale nominato dalla parte civile ad individuare la presenza di più assassini nelle ferite sul corpo di Pasolini, a circostanziare come le stesse fossero state impartite dalle diverse persone che avevano partecipato al massacro e non potessero essere imputabili ad una colluttazione fra due singoli individui, come se le stesse ferite testimoniassero le modalità in cui il massacro fu perpetrato e che si concluse quando gli aggressori passarono con una macchina sopra il corpo del poeta che giaceva inerme sullo sterrato dell’Idroscalo, causandogli la frattura delle costole e dello sterno, lacerandogli il fegato e facendogli scoppiare il cuore.
Furono i fratelli Braciola a confidare ad un poliziotto in incognito la loro partecipazione a quel massacro, pur poi ritrattando nei giorni successivi ciò che avevano affermato con la motivazione che avevano detto di aver ucciso Pasolini soltanto per farsi grandi agli occhi del loro interlocutore.
Fu la stessa macchina Alfa GT 2000 di Pasolini a testimoniare in maniera impeccabile che non poteva essere stata essa a passare sopra il corpo del poeta, non avendo alcun evidente danno sulla coppa dell'olio e sulle parti della vettura che si diceva avessero sormontato il suo corpo. 
Fu ancora una volta l'Alfa GT 2000 a rendere chiara la presenza di almeno un'altra persona, ostentando quella macchia di sangue sulla tettoia dal lato del passeggero, come se - oltre all'autista - qualcun altro fosse salito sulla vettura appoggiando la mano sulla carrozzeria per aprire la portiera.
Fu la presenza di un plantare e di un maglione dentro la vettura di Pasolini - non appartenente in alcun modo al poeta e nemmeno presente nella stessa vettura nei giorni precedenti all'omicidio - ad insinuare il dubbio che quella notte sul luogo non vi fosse soltanto Pelosi.
Fu lo stesso corpo di Pelosi a confermare che non poteva essere stato lui a ferire in quel modo brutale Pasolini. Tutte le persone si chiedevano come potesse quel corpo mingherlino aver martoriato il corpo atletico di Pasolini con tale furia, come potesse quel corpo sostenere un'aggressione ed una colluttazione come da lui descritta senza riportare alcuna contusione, alcuna ecchimosi, alcun livido, alcuna traccia di fango o sangue del poeta addosso ai propri vestiti ed alla propria pelle
Fu il presidente Moro - che presiedeva il processo contro Pelosi apertosi il 2 febbraio 1976 presso il Tribunale per i minorenni di Roma - a pronunciare, il 26 aprile 1976, la sentenza dichiarando Pelosi colpevole di furto aggravato, atti osceni ed omicidio volontario in concorso con ignoti, precisando come dagli atti emergesse in modo imponente ed univoco la prova che quella notte all'Idroscalo Pelosi non fosse stato solo e fossero state più persone - restate sconosciute - ad uccidere Pasolini. 
Ma nonostante tutti questi fatti portassero alla conclusione che Pasolini era stato ucciso da un gruppo non identificato, i successivi dibattimenti, nel secondo e nel terzo grado di processo, emisero la sentenza che fosse stato solo Pelosi ad uccidere il poeta in quella notte all'Idroscalo, sostenendo ed avallando la tesi che si fosse trattato di un'omicidio a sfondo sessuale.
E quest’ultima fu la versione ufficiale con cui si cercò di archiviare nella memoria della nazione il massacro perpetrato nei confronti di Pasolini.
Ma tale tesi non ritrovava riscontro nella realtà. Troppi indizi ed evidenze la screditavano. 
Dubbi, menzogne, omissioni, segreti, errori degli inquirenti giunti sul luogo del delitto e durante la conservazione dei reperti e della vettura di Pasolini, indizi e testimonianze che furono raccolti e raccontati nel 1995 da Marco Tullio Giordana nel suo film Pasolini, un delitto italiano.
Negli anni successivi, a partire dal 2005, lo stesso Pelosi ritrattò più volte quella prima versione, raccontando come non fosse stato solo in quella notte, pur non specificando mai fino in fondo cosa avvenne e chi furono le persone presenti oltre a lui all'Idroscalo.
Nel luglio del 2005, il regista Martone girò un documentario in cui Citti raccontava la testimonianza di un pescatore - da lui raccolta - che non soltanto affermava la presenza di più persone sul luogo del delitto, ma anche che quella sera all'Idroscalo vi fossero due automobili e non solo quella di Pasolini. Citti descriveva le scene che, pochi giorni dopo la morte del poeta, lui stesso aveva ripreso quando si era recato all'Idroscalo, munito di una macchina da presa, filmando una ricostruzione dell’accaduto e mostrando come Pasolini fosse forse stato investito dalla seconda macchina, in una dinamica che metteva in dubbio la versione ufficiale fino a quel momento diffusa ed accreditata.
Ad avallare la tesi che quella notte fosse stata un'altra Alfa GT 2000 - simile a quella del poeta - a passare sopra il corpo di Pasolini, furono i racconti di alcune persone secondo cui la macchina danneggiata - sotto la cui scocca risultava fossero presenti residui di capelli, sangue e fango -, nei giorni successivi all'omicidio di Pasolini, fu fatta visionare ad alcuni carrozzieri di Roma per far aggiustare i danni subiti dalla stessa nel sormontare il corpo del poeta.
Ma nonostante ciò, le riaperture del caso non hanno ancora mai portato ad una definitiva verità su chi fu davvero ad uccidere Pasolini.
E proprio per avere un nuovo utile contributo nel cercare di capire cosa avvenne quella notte, è doveroso approfondire la lettura dell'interessante saggio di Simona Zecchi Pasolini, massacro di un poeta - edito nel 2015 da Ponte delle Grazie. L'autrice ha condotto un'inchiesta rigorosa cercando di individuare nuovi indizi, utilizzando documenti inediti, testimonianze e fonti trascurate nei dibattimenti, analizzando le fotografie scattate all'epoca del rinvenimento del corpo martoriato di Pasolini - che evidenziano i colpi a lui inferti - per anni rimaste inedite. Nella rigorosa ricerca condotta lungo gli ultimi cinque anni, l'autrice non soltanto smonta la tesi dell'omicidio sessuale, ma lascia intravedere sprazzi di una verità che lentamente affiora dalle tenebre di quella notte, facendo affiorare nuovi elementi che potrebbero aiutare ad individuare quali furono i moventi e chi partecipò a quel «massacro tribale» come definito dalla stessa autrice, ed il cui significato «trivalente» è stato spiegato durante un'intervista da lei rilasciata a Giuseppe Mellozzi per Temporeale.info: «tribale per la violenza e la precisione inaudite perpetrate sul corpo del letterato; tribale per la quantità delle persone coinvolte e accorse quella notte (almeno tredici ma anche di più); tribale per la forza e la ferocia con cui questo massacro ha continuato a perpetrarsi influenzando in gran parte la percezione della sua opera anche a volte dei più appassionati pasoliniani.»
Il giorno dei funerali di Pasolini, Moravia, durante la sua commossa e solenne orazione funebre, ricordò come l'Italia, con la morte di Pasolini, avesse perso un simile, un poeta, un romanziere, un uomo prezioso, e descriveva un'immagine che lo perseguitava, l'immagine di «Pasolini che fugge a piedi, è inseguito da qualche cosa che non ha volto e che è quello che l’ha ucciso, è un’immagine emblematica di questo paese. Cioè un’immagine che deve spingerci a migliorare questo paese come Pasolini stesso avrebbe voluto.»
Come disse Moravia nell'orazione di «poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto in un secolo. Quando sarà finito questo secolo, Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno come poeta. Il poeta dovrebbe esser sacro.»
Se l'Italia non è riuscita negli anni a difendere e preservare il suo poeta, sarebbe però auspicabile e ormai doveroso che questa nazione almeno finalmente renda giustizia alla sua memoria.


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