Aveva ventisei anni Breece D'J Pancake quando morì per un colpo di
pistola - sparato da lui stesso - in un giorno di aprile del 1979. Il suo
vero nome era Breece Dexter Pancake, ma quando nel 1976 il mensile
americano Atlantic Monthly pubblicò il racconto Trilobites, qualcuno sbagliò a
scrivere il suo nome e lui - come racconta Giacomo Papi
nell'introduzione all'edizione italiana edita da Isbn Edizioni - decise
di lasciarlo lo stesso scritto a tal modo. Perchè Pancake scriveva
racconti. Nato a South Charleston, nel West Virginia, i suoi racconti
erano spesso ambientati proprio in queste terre. Con una scrittura
scarna, asciutta, minima ed essenziale, ma capace di produrre immagini e
sensazioni vivide, in questi racconti emerge la natura spesso aspra ed
isolata, gli animali viventi ed i fossili del passato, la desolazione e
lo splendore dei paesaggi, il tempo atteso e quello che sembra essersi
fermato per sempre, il desiderio di fuggire anche se alla fine si rimane allo stesso posto, scene di vite perdenti e fragili, quelle stesse vite dai cui
spesso rimane impressa addosso al lettore un vago senso di solitudine.
Una
solitudine che permea i pensieri ed i gesti dei protagonisti dei
racconti, che affiora nelle descrizioni delle terre immense e desolate,
che pervade le pagine del libro. Soltanto qualche anno dopo la sua morte,
per la precisione nel 1983, i suoi racconti vennero pubblicati in una
raccolta postuma. Pubblicati per la prima volta in Italia dalla casa
editrice Isbn nel 2005 - e successivamente in edizione economica nel
2010 -, i dodici racconti sono stati nel 2016 ristampati dalla Minimum Fax - casa editrice sempre attenta ad offrire ai lettori italiani opere interessanti - con la nuova traduzione di Cristiana Mennella. Un'occasione per leggere i racconti di un'autore
che, osannato oltreoceano - citato da Tom Waits come suo autore
preferito, ed il cui debutto è stato paragonato per talento da Joyce
Carol Oates ad Hemingway -, nel corso degli anni è diventato uno
scrittore di culto.

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