venerdì 11 ottobre 2019

La straniera di Claudia Durastanti




LA STRANIERA 

CLAUDIA DURASTANTI


Si rimane rapiti da questo libro - la cui originale architettura è anticipata dal sommario con le parti denominate come a voler descrivere l’oroscopo di un’esistenza - sin dalle prime pagine, in cui l’autrice presenta le versioni dei genitori sul loro primo incontro, che seppur discordanti negli eventi, hanno in comune il fatto che entrambi affermino di aver salvato l’altrui vita. 

Da lì, inizia la narrazione - con bellezza di linguaggio ed eleganza di scrittura - di una storia familiare e generazionale che attraversa gli anni ed i luoghi in cui l’autrice ha vissuto: nata e cresciuta negli anni dell’infanzia a Brooklyn, di cui ha conosciuto soltanto la comunità italo americana ed i quartieri ad essa legati; tornata con la madre ed il fratello in Basilicata a trascorrervi la propria adolescenza; stabilitasi a Roma durante gli studi universitari e le prime esperienze di lavoro; andata a vivere a Londra, dove assiste al declino del paese e vive sulla propria pelle le difficoltà dell’integrazione. 

Mescolando con forma sperimentale pagine di letteratura a pagine di saggistica, la scrittrice affronta ulteriori temi: la disabilità dei genitori - entrambi affetti da sordità hanno cercato di vivere quella condizione come se non fosse un limite -; il rapporto con la lettura, quando nella soffitta della casa ha scoperto i romanzi beat o il capolavoro di Selby Jr e con essi il desiderio della scrittura; le esperienze amorose che ci conducono alla conclusione del romanzo. 

Sarebbe però riduttivo classificare questo straordinario romanzo nel genere memoir. 

La memoria non è usata in un processo catartico di resa di conti con il proprio passato, ma viene esplorata come se il romanzo fosse l’origine di una nuova vita che sta nascendo. 

Non voglio svelare nulla di più, per non rovinare ai lettori la scoperta di questo sorprendente libro, che conferma il talento di Claudia Durastanti e l’annovera tra le più interessanti scrittrici contemporanee italiane. 


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domenica 30 giugno 2019

La polisemia delle atrocità. Frammento #5




Esistono momenti nella vita in cui sorge imperativo il bisogno di ribellarsi e disobbedire ad un ordine ricevuto che la nostra coscienza ritiene profondamente ingiusto e contrario a qualsiasi principio umanitario. 
Perché anche il solo obbedire ad un ordine che viola l'umanità ci rende colpevoli e responsabili del crimine stesso.
Il nostro non disobbedire all'ordine ricevuto ci rende a tal punto complici di chi quell'ordine lo ha impartito. 
Soltanto la disobbedienza può assolvere un'anima altrimenti condannata dalla sua ignavia.



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venerdì 3 maggio 2019

Il giorno in cui sarei dovuto morire



STEFANO MANNUCCI

IL GIORNO IN CUI 
SAREI DOVUTO MORIRE


SINOSSI

Una fredda mattina d'inverno. La neve ed il silenzio avvolge la città. Un fumo nero si leva da un appartamento in fiamme a velare il cielo grigio. Un uomo ed una donna escono da un palazzo. Hanno poco tempo a disposizione. I sicari commissionati di ucciderli sono ormai sui loro passi. E presto il loro cammino sarà disseminato di cadaveri e pericoli. Una fuga senza tregua, senza respiro, in un giorno in cui le ore scorrono lente ed inquiete ed ogni minuto è prezioso per la salvezza della propria vita. E sarà soltanto in un'alba tragica che il destino rivelerà il piano che aveva predisposto per loro.

Seguito de L'uomo che dovevo uccidere, Il giorno in cui sarei dovuto morire è il secondo episodio di una trilogia noir il cui protagonista è l'assassino di professione Jack Settano.


INCIPIT

Il giorno in cui sarei dovuto morire, l'argentea luce di una plumbea mattina invernale scivolava attraverso le mura dei palazzi per adagiarsi come un tenue velo di malinconia sopra le strade innevate che in silenzio percorrevamo.




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domenica 9 dicembre 2018



La memoria del nostro amore


La memoria del nostro amore
non è una reliquia
sopra cui lasciar adagiare 
la polvere del tempo.
La memoria del nostro amore
non è un oggetto donato
da conservare dentro le teche
dietro le vetrine.
La memoria del nostro amore
non è una fotografia sbiadita
in una cornice opaca
da osservare nel giorno
di anniversari andati.
La memoria del nostro amore
non è una canzone
che il vento porta fino a noi
lasciandola struggente echeggiare
nei nostri affranti cuori.
La memoria del nostro amore
sono le nostre tristi mani
che - graffiando le lenzuola -
cercano l'altrui petto 
nel letto vuoto.
La memoria del nostro amore
sono le nostre labbra 
che avide di baci
assaporano l'altrui pelle.
La memoria del nostro amore
sono i nostri corpi 
che si desiderano 
nonostante gli anni trascorsi
ed i destini avversi.
La memoria del nostro amore
sono i nostri cuori 
che all'unisono battono
nonostante le distanze a separarli.
La memoria del nostro amore
sono le nostre immense solitudini
che implorano nuove notti 
da vivere assieme.



Roma, Dicembre 1999




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martedì 27 novembre 2018

La bellezza eterna di un capolavoro - L'idiota di Fedor Dostoevskij


La bellezza salverà il mondo. 
Così afferma il principe Miškin indimenticabile protagonista del romanzo L’idiota di Fëdor Dostoevskij, nella cui persona l’autore incarna la bontà e la purezza dell’animo umano, con una fede ed un atteggiamento nei confronti della vita e del prossimo che a detta di molti critici lo fa assomigliare alla figura di Cristo. 
Ultimo discendente di una famiglia nobile ormai decaduta, il principe Miškin ritorna in Russia dopo un soggiorno in Svizzera in cui si era recato per curarsi dall’epilessia da cui è afflitto. 
Sin dalle prime pagine, inizierà ad incontrare gli altri importanti personaggi che animeranno il libro - Rogožin, il generale Epan?in, Nastas'ja Filippovna, Aglàja -, i cui destini spesso si incontreranno nelle meravigliose pagine del romanzo di Dostoevskij considerato uno dei maggiori capolavori della letteratura russa. 
Pur essendo passati molti anni dopo la sua prima lettura, posso senz’altro affermare come la bellezza di questo libro – di cui ne consiglio vivamente la lettura - rimanga sempre intatta nonostante il trascorrere del tempo.  



La schiuma dei giorni di Boris Vian


Avevo diciassette anni quando sentii pronunciare per la prima volta il nome di Boris Vian. Ascoltavo per caso Ivano Fossati suonare - durante una trasmissione televisiva - la canzone Il disertore. Conclusa l’esecuzione del brano da parte del cantautore, fu specificato come la versione originale di quella canzone pacifista - di cui poi recuperai il testo in francese - fosse stata scritta da Boris Vian nel 1954. Negli anni successivi, ebbi modo di leggere anche altri libri da lui scritti. Così avvenne con la raccolta di poesie Non vorrei crepare - di cui trovai una vecchia edizione della Newton Compton in una bancarella vicino l’università - o con il noir Sputerò sulle vostre tombe, che aveva firmato usando lo pseudonimo di Vernon Sullivan.
E quando qualche anno fa - in prossimità dell’uscita del film Mood Indigo di Michael Gondry - nei giornali si tornò a parlare del suo romanzo, scritto nel 1946, La schiuma dei giorni - da cui il film era tratto e da molti considerato il suo capolavoro letterario -, mi promisi che, appena ne avrei avuto occasione, lo avrei letto. Acquistai l’edizione in commercio della Marcos Y Marcos, un’edizione ben curata che, oltre a presentare un'interessante prefazione di Fossati ed un'invervista a Pennac per postfazione, è corredata spesso da note in cui si cerca di spiegare alcuni giochi di parole inventati dall’autore nella lingua originale, nel caso che a seguito della traduzione avessero perso la propria efficacia.
Ed ora, approfittando di questi giorni di feste, ne ho iniziato la lettura. Lentamente sono entrato nel mondo di Colin - il protagonista attorno a cui ruotano le vicende narrate nel libro -, un giovane benestante che vive assieme al suo cuoco personale Nicolas in un appartamento di Parigi, e che trascorre le sue giornate spesso in compagnia dell’amico Chick - un ingegnere ossessionato dall’acquistare e possedere qualsiasi copia delle opere scritte dal suo filosofo preferito Jean Sol Partre - e la giovane Alise - fidanzata di Chick e nipote di Nicolas.
Ma è l’amore e l’innamorarsi che Colin desidera follemente. E quando durante una festa incontra la bella Chloe, Colin s’innamora subito di lei. Decidono di sposarsi pochi giorni dopo. Colin non bada a spese per organizzare un fastoso matrimonio e decide anche di donare un quarto delle sue ricchezze a Chick così che anche lui possa permettersi di sposare Alise.
Sono molte le immagini surreali che caratterizzano il libro, frutto della fervida fantasia dell’autore che inventa scene di continuo: anguille che fuoriescono dai lavandini per essere cucinate con particolari ricette d'alta cucina; pianococktail che versano cocktails seguendo l’armonia delle note che si suonano sulla tastiera del pianoforte; topi che dimorano nei corridoi e nelle stanze dell’appartamento assieme ai coinquilini con cui a volte conversano a loro modo; marciapiedi che seguono l’umore dei passanti; vetri colorati che si possono alzare nella macchina per velare il plumbeo del mondo attorno; nuvole profumate di coriandolo ed erba di montagna che durante la cerimonia nuziale entrano nella chiesa - dipinta appositamente per l’occasione a strisce gialle e viola.
Ma lentamente l’atmosfera lieve ed ironica del libro inizia a diminuire man mano che Chloe di ritorno dal viaggio di nozze - che li aveva condotti nel Sud della Francia lungo strade dissestate e fangose - si ammala - una ninfea che le cresce nel polmone destro e le rende faticoso il respirare.
E anche quell’appartamento prima maestoso con l’avanzare del tempo e della malattia si restringe sempre più su se stesso. E le splendide vetrate si opacizzano e non lasciano più passare come una volta i vividi raggi del sole. Ed i colori sgargianti con cui la fantasia dell’autore aveva rivestito il mondo del protagonista lentamente iniziano ad incupirsi con l’aggravarsi della salute di Chloe. Ed anche i dobloncioni delle ricchezze di Colin iniziano ad esaurirsi per le impellenti cure di cui necessita Chloe: l’acquisto quotidiano di fiori per alleviare le sofferenze della malattia e debellare la ninfea.
Si avvicina sempre più il tragico epilogo della loro storia d’amore, il cui finale non descrivo né commento per lasciare ad ognuno l’intensità della lettura.
Per certi, mentre leggevo quelle pagine, mi sono tornate in mente le vicende di Jacques e Francine narrate da Henri Murger nella sua Vita da Boheme.
Anche la storia tra Chick e Alise si avvia verso un drammatico finale, dopo che Chick avrà esaurito i soldi donatigli da Colin non per il matrimonio, ma per seguire la sua ossessione di acquistare qualsiasi edizione o cimelio di Partre.
Considerato da molti una tenera favola d’amore per adulti – Queneau lo definì il più straziante dei romanzi d’amore contemporanei - od anche un romanzo d'iniziazione, La schiuma dei giorni è sì un libro sull’amore, sulla sua ricerca e sul suo desiderio, su come esso – una volta trovato - possa cambiare la vita di una persona, sulla gioia di sentirsi innamorati e di poter amare; ma è anche uno struggente libro sulla malattia che restringe il tempo e consuma le energie e le risorse di chi è malato e di chi vive accanto alla persona malata nella speranza di curarla e salvarla.
Forse non è un libro che possa piacere a tutti - considerando la particolarità della scrittura e l’animo surrealista ed anticonformista dell’autore che spesso la contraddistingue -, ma ritengo che sia senz’altro un libro da leggere con attenzione, anche perché sono molti i significati che ad un prima lettura potrebbero sfuggire, ma che persistono nella profondità del libro. Come ha affermato Pennac - nella postfazione che accompagna il romanzo - «un libro di questo calibro può essere letto più volte, nel corso degli anni, traendone impressioni e suggestioni diverse. A diciott'anni prevale la griglia della passione amorosa, a quaranta quella della critica sociale, a sessanta quella del pessimismo della tragedia che tutto annulla.»




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giovedì 8 novembre 2018

La polisemia delle atrocità. Frammento #4


Nel rifiuto di voler pubblicare fotografie ritraenti atrocità di guerre lontane dalla propria terra, quanto c'è in esso il decoro per una vita altrui e quanto invece soltanto la strenua difesa della propria serenità altrimenti da esse scalfita?
Si vuol vietare la diffusione di un'immagine violenta perché essa viola la dignità della persona ritratta, o soltanto perché essa infrange la barriera di cristallo dentro cui vogliamo difendere la serenità della nostra vita al sicuro dai cannoni?
Ci ferisce ciò che quella immagine rappresenta, o a volte porgiamo difese ad essa soltanto perché essa non turbi la nostra incolume quiete?
È vera pietà per i morti la nostra, o soltanto opportuna difesa per chi resta vivo e lontano da quelle atrocità?
Come se il non voler vedere, il non voler mostrare simili morti potesse rendere il dolore delle guerre lontano dalle proprie vite.
Come se il voler negare simili atrocità volesse affermare l'esistenza di un mondo migliore anche quando esso non esiste affatto.
Ma allorquando si decida di negare la visione di simili atrocità, per quanto poi si voglia gridare la propria assoluzione di fronte ai conflitti in atto, la nostra indifferenza farà sì che saremo sempre anche noi coinvolti, e se non come efferati perpetratori, lo saremo come occulti censori o come silenti spettatori.





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